Nella prefazione all’edizione anastatica del Libro di Leuto di Gioseppe Antonio Doni (SPES 1988), con buona ragione, Dinko Fabris[1]critica la diffusa opinione che vede il sec. XVII come il periodo di repentino declino della pratica liutistica nel panorama musicale italiano. Infatti, egli sottolinea come, se da una parte è innegabile che la quantità delle fonti a stampa dedicate al liuto (quantomeno quelle sopraggiunte ai nostri giorni) è esigua, non può non notarsi che l’esistenza di tale strumento, oltre ad essere ben descritta da documenti archivistici che ne raccontano la partecipazione in organici al servizio di corti e cappelle, è ben documentata – anche musicalmente – dalle numerose fonti manoscritte fortunatamente sopravvissute.
Proprio visitando questo mondo un po’ nascosto, è sembrato naturale pensare di cominciare a plasmare una proposta volta al recupero di una parte di letteratura ingiustamente passata in secondo piano.
Il documenti che qui vengono visitati sono:
ms di Lucca (codice 774, Intavolatura di leuto da sonare e cantare, custodito presso la Biblioteca Statale di Lucca);
ms di Venezia (intavolatura italiana, classe IV nr. 17 custodito presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia);
ms di Perugia (Libro di Leuto di Gioseppe Antonio Doni, conservato presso l'Archivio di Stato di Perugia).
Vale la pena aggiungere che il codice di Gioseppe Antonio Doni, oltre a contenere musiche del Falconieri, è impreziosito anche dalla presenza di lavori di autori tra cui vale la pena citare Giovanni Girolamo Kapsberger, Giuseppe Baglioni e Arcangelo Lori.
Doni di liuto è un solo un divertente gioco di parole che si ispira al codice perugino, tuttavia risponde obiettivamente a ciò che fortunatamente ci arriva dal passato: un prezioso ed affascinante regalo.
[1]Nella bibliografia di riferimento è doveroso citare: Dinko Fabris, Andrea Falconieri Napoletano, un liutista-compositore del Seicento, Roma, Torre d’Orfeo, 1987; Dinko Fabris, Libro di Leuto di Gioseppe Antonio Doni, anastatica Firenze, SPES, 1988.